Dino Tarantino, che ha insegnato materie umanistiche nei licei, ora attivo nella Libera Università Domenico Guaccero, è una di quelle persone che esprime antidoto al senso di “anomia”, per dirla con una categoria cara a Durkheim, degli spazi urbani contemporanei.
Al chiedergli che cosa gli evochi la chiesetta della Madonna di Iuso, non mi risponde affatto come chi guarda le cose dall’alto, ma come chi racconta, cerca un senso, dall’interno della città, come applicasse l’immaginazione sociologica del “flâneur”.
“Quella chiesetta per i palesi significava il giorno di Pasquetta” – mi dice in minore. “La chiesa è stata una delle tappe del pellegrinaggio verso la Terra Santa, che incominciava a Compostela”.
Dunque, traccia spirituale sotterrata dal moderno e soprattutto da questa nostra seconda modernità molto più secolarizzata rispetto alla prima ottocentesca?
“Credo che a mancare sia soprattutto il riferimento guida della consapevolezza. La tendenza dei “borghi belli” ha svuotato di senso vissuto i luoghi della memoria, che credo sia il solo senso che possa preservarli.
Un restauro è fine a stesso, sterile, se non c’è una comunità che si mobilita attorno. Rimane un restauro superficiale. Soltanto un movimento cittadino diffuso e partecipato potrebbe, ad esempio, garantire un intervento profondo e duraturo sulle immagini religiose del centro storico di Palo, altrimenti recuperate solo superficialmente e quindi destinate al degrado poco tempo dopo i restauri.”
La chiesetta di Iuso quindi oggi rimane interessante solo per i connoisseurs?
“Se ne sanno cose interessanti, per esempio che certi affreschi potrebbero essere di Scuola Senese. Ne è stato scritto in un “quaderno” pubblicato da mio fratello Luca. Lo scopo di quel “quaderno” era di diffondere la conoscenza di una chiesetta. Il binomio conoscenza – consapevolezza è essenziale.
Occorrerebbe riattiualizzare la coscienza della distinzione tra “urbs” astratta e “communitas”.

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