Intervista a Giacomo Disantarosa

di Carmela Caporusso

Mentre Piazza Santa Croce si prepara a mostrare un nuovo volto, un’ombra di potenziale storico e archeologico si allunga sul cantiere. Per fare luce su questa condizione, ho incontrato l’archeologo palese Giacomo Disantarosa, responsabile del “Laboratorio di Archeologia subacquea” del Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e docente presso la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Interateneo UniBA-UniFG.  

Quanto è importante, dal punto di vista archeologico, un sito antico come Piazza Santa Croce all’interno di un centro abitato come quello di Palo del Colle?  

Piazza Santa Croce, come ricorda un’espressione risalente agli anni Settanta, rappresenta il cosiddetto «Salotto di Palo»: è il punto più alto del paese, sorto sulle ultime propaggini della Murgia a 177 metri sul livello del mare, nonché il cuore del centro antico da cui si dipartono a raggiera le strade principali. Abbracciata dai principali edifici storici e religiosi, essa costituisce un ambiente di rappresentanza, un punto nevralgico della vita cittadina che ha visto succedersi nei secoli ogni tipo di avvenimento storico e sociale, come l’innalzamento dell’Albero della Libertà nel 1799 ad opera dei sanfedisti contro il Regno di Napoli o la costruzione dell’Albero della Cuccagna durante le festività carnevalesche fino ai comizi e alle sagre cittadine. È dunque indubbio che Piazza Santa Croce sia un luogo fondamentale per comprendere lo spaccato della storia di Palo.  

Durante le indagini geofisiche sono emersi elementi di rilievo? Se sì, quali e come sono stati interpretati?  

Le indagini – fortemente richieste da una piccola commissione estemporanea di cittadini attenti – hanno evidenziato allineamenti e anomalie, ciò significa che lì dove il sensore ha rilevato l’anomalia il segnale è rimbalzato. Questo ci permette di dire che ci sono anomalie identificabili con strutture o con vuoti, registrati a diverse profondità rispetto al piano attuale di calpestio, comprese all’incirca tra 1 e 4 m di profondità, ipoteticamente identificabili con probabili ambienti sotterranei, sostruzioni e muri che individuano ambienti di precedenti costruzioni. Ma per quanto il georadar permetta di orientare e posizionare le anomalie nello spazio sottostante, esso non fornisce una panoramica più precisa né informazioni relative alla datazione degli ambienti. Insomma, si resta sul terreno delle ipotesi. 

I lavori di riqualificazione della Piazza sono già in stato avanzato e non c’è più possibilità di procedere a degli scavi archeologici: quali sono, secondo lei, i rischi e le opportunità perse per l’archeologia e la storia locale? 

Il progetto di riqualificazione in atto prevede esclusivamente la sorveglianza archeologica del cantiere ma non lo scavo, escluso quello superficiale eseguito per la ripavimentazione. La mancanza di un intervento stratigrafico ha sicuramente conseguenze importanti, in termini di opportunità mancate, per l’arricchimento dei dati storici e archeologici locali. Il rischio a cui si sta andando incontro è l’assenza di risposte sulla datazione delle creste murarie, sulla specificità diacronica degli insediamenti precedenti così come sulle scelte ideologiche, culturali ed economiche connesse a questi e sull’adattamento architettonico alla morfologia del territorio.  

Via della Minerva e via XXIV Maggio, adiacenti alla Piazza, non sono ancora state riqualificate né sottoposte a un’indagine completa del georadar: quanto potenziale archeologico pensa ci sia in quelle aree?  

Su via della Minerva e su via XXIV Maggio sono state effettuate indagini a campione non approfondite. Ritengo che queste aree non ancora sottoposte ai lavori posseggano un immenso potenziale archeologico: un indizio ci viene offerto proprio dalla toponomastica che rimanda ad un culto di una divinità pagana di età romana e che è riuscita a conservarsi nonostante la vicinanza alla Chiesa Madre. Inoltre, ci sono fonti storiche che riconoscono l’esistenza di cisterne in questi punti, per cui è auspicabile che il collega che sorveglierà i successivi cantieri si impegni a ricercarne le tracce – per quello che riguarda chiaramente la stratigrafia raggiungibile dalle operazioni di riqualificazione – con un’attenzione particolare alla pulitura degli strati, alle fotografie e alla raccolta di quanto poco emergerà dal punto di vista materiale.  

In che modo si possono sensibilizzare cittadinanza e istituzioni sull’importanza del riconoscimento e della tutela del patrimonio archeologico “nascosto”? 

Credo che il primo passo per tutelare il patrimonio storico e archeologico “nascosto” sia coinvolgere i cittadini, attraverso la pubblicazione della relazione archeologica da parte della Soprintendenza ABAP-BA (MiC) e dell’amministrazione o la divulgazione dei dati raccolti attraverso una conferenza in cui gli addetti ai lavori siano invitati a parlare e a eliminare eventuali perplessità. Solo in questo modo, la conoscenza partecipata della comunità – che sta alla base dell’archeologia pubblica – potrebbe portare a una consapevolezza maggiore del patrimonio e dell’identità della nostra cittadina. Un’altra possibile via, successiva, potrebbe essere la realizzazione di un crowdfunding.  

Se avesse carta bianca, quale intervento prioritario promuoverebbe nell’area di Piazza Santa Croce?  

Sicuramente mi dedicherei in primis all’intervento di scavo, anche se è bene conoscere e riconoscere le cause e le conseguenze di questa operazione invasiva: disponibilità economica dell’Azienda preposta, pulitura, repertazione e studio, problemi logistici legati alla viabilità e alla vivibilità della zona. Ritengo, però, che non sia impossibile – per chi se ne occuperà – cercare di documentare i reperti che emergono dai lavori di riqualificazione, di modo che si possa lasciare una traccia scritta per la comunità e per gli studi successivi.  

oppure


QUESTO NUMERO E’ OFFERTO DA: