Il costo… dei costi sociali

di Annarita Calabrese

<< Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, […]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese >>.

Tra i primi articoli della Costituzione Italiana, che definiscono lo Stato sociale, e con i quali lo Stato si impegna a cautelare la dignità e la libertà del cittadino, il terzo è quello più esposto agli attacchi dei moderni sistemi politici ed economici che stanno frantumando i principi dello Stato sociale, in favore del sistema imprenditoriale, della libera iniziativa, della liberalizzazione dei mercati, della globalizzazione.

Costi sociali

Ogni attività umana ha dei costi, perché acquistare materiale, produrre beni e servizi ha il suo prezzo in termini pecuniari. Ma esistono costi che non sono traducibili in denaro, non sono quantificabili e non rientrano nei sistemi di tassazione previsti dagli apparati fiscali degli Stati.

Sin dal 1950, l’economista tedesco K.W. Kapp teorizzava, nel suo saggio “The Social Costs of the Private Enterprise” (“I costi sociali dell’impresa privata”), l’esistenza di costi sociali, ossia di costi, collaterali e non necessariamente monetari, che le aziende scientemente addebitano a terzi e che non potrebbero pagare, in parte perché difficilmente quantificabili, in parte perché, se li pagassero, verrebbe meno il profitto che è lo scopo della loro attività.

Lo Stato non ha più strumenti atti alla tutela dell’individuo, in un contesto in cui è lo Stato medesimo che deve tutelare se stesso adeguandosi a nuovi assetti internazionali. Non è un caso che negli ultimi decenni si faccia spesso riferimento ai costi sociali dell’inserimento delle nazioni in nuovi contesti quali l’introduzione dell’euro, l’adeguamento a sistemi economico commerciali globali, l’automazione e l’informatizzazione dei procedimenti.

L’impotenza degli Stati a tale proposito era già testimoniata, all’inizio del XX secolo, dalle aspre critiche di inattuabilità mosse alla proposta dell’economista inglese A.C. Pigou: egli teorizzava l’intervento dello Stato che, con l’imposizione di tasse ad hoc, indennizzasse i costi sociali conseguenti alle attività delle industrie. Questi meccanismi, a vari livelli, aziendale, statale, locale, gravano sulla collettività.

Tradotti nella vita di tutti i giorni, si concretizzano, ad esempio, nell’inquinamento prodotto dalle industrie che, a fronte della produzione di beni e servizi indispensabili alla quotidianità o allo svolgimento di altre attività, provocano danni, ambientali e non, che a loro volta innescano costi sociali in termini di salute, spese mediche, sovraccarico del sistema sanitario; le morti sul lavoro sono i costi sociali del mancato adeguamento alle norme di sicurezza.

Si possono definire costi sociali le conseguenze sulla società di una classe politica impossibilitata a svolgere appieno le proprie funzioni: la condizione psicologica di malessere e disappunto di alcune categorie, la permanenza di alcune classi sociali in situazione di disagio e inadeguatezza saranno i costi sociali di una gestione inidonea del potere, sia a livello centrale che locale.

Per concludere, il cittadino è attualmente esposto ad una serie costi che non dipendono direttamente dalla sua volontà, ed è quanto mai demandato alla sua iniziativa e al suo senso civico, non sempre adeguati a tale compito, la responsabilità di limitare i danni e di vivere e far vivere chi lo circonda secondo principi di correttezza e temperanza.•

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